Se accettiamo l’assunto della, imprescindibile, liberazione umana dalle catene, favorendo quindi una società libertaria, non avremmo risolto il problema delle catene degli altri animali. Il concetto stesso di “Catene” ha implicito nella sua definizione il postulato di sfruttamento e segregazione nella completa totalità degli oppressi. Se anche tutto il mondo diventasse libertario (spingendo il sogno in ipotesi concreta) continuerebbero, qualora non si affrontasse la liberazione a largo spettro, ad esistere forme assolutiste ed antropocentriche dipinte di dominio: “Io conto se altri non contano”, “Io sono se altri non sono”, e così all’infinito. Un mondo aperto e solidale, se non visto in approccio al vivente, non comporta necessariamente la cessazione dello sfruttamento ambientale e della diminuzione progressiva delle risorse; e a ben vedere nemmeno la fine della gerarchia.
A me non interessa un mondo diverso, giusto, fraterno ma solo per alcun*, più “eco-sostenibile” a misura umana, più “amico della natura”, ma un mondo dove gli animali, tutti gli animali (umani e non) abbiano benefici inalienabili e non siano ritenuti proprietà, prodotti da poterne disporre per un’idea fallace di libertà; una -non libertà- fondata sulla pelle di una parte dei viventi e sulla terra stessa. Vorrei un mondo in cui le leggi si esauriscano, le violenze cessino e così anche il predominio, termine assai nemico del concetto stesso di “Rispetto nelle diversità“. Un mondo in cui non ci sia più oppressione, dove in ogni luogo di crescita (qualsiasi crescita) non ci siano rimaste nemmeno le macerie dell’oppressione, un mondo in cui nessuna legge, morale o meno, stabilirà diritti a respirare ma sboccerà solo libertà di vivere, un mondo in cui non ci siano né recinti né mura invalicabili, nè gabbie nè carceri, nè sfruttati nè sfruttatori, nè frontiere nè allevamenti, nè Stati nè lager, perché non esisterà il principio di limite ma solo quello di spazi infiniti. Un mondo in cui non ci siano più esseri-oggetto perchè non ci sarà più supremazia, un mondo in cui non bisognerà più reclamare favori umilianti poichè esisterà l’inviolabilità individuale all’esistenza. Un mondo libero dilatato a tutti e a tutte, perchè tutti e tutte hanno il diritto a un mondo libero.
Gli individui liberi non sono coloro che si preoccupano di sapere, o credere di sapere, entro quali limiti si può camminare, protetti da siepi istituzionalizzate che celano il resto del “bosco”, ma coloro che si mettono fuori dai contorni, che indicano un sentiero comodo e accessibile, per quanto può essere sereno e riposante; sono coloro che attendono instancabili un varco che li liberi. Le catene mentali sono possenti e talvolta lunghe e non mancano di una certa bellezza, tranciarle significa esplorare il concetto stesso di anti-dominio individuale. Possono anche essere affascinanti ma non fanno avanzare di un solo passo, nessun passo in direzione della propria e altrui indipendenza. Essere “spronati” a uscire dai binari secolari, tradizionali, consolidati e conosciuti non è un ricatto dettato da qualche obbligo autoritario esterno ma un percorso radicale, indispensabile da fare, che va a toccare tutte quelle disposizioni mentali che ci perseguitano fin dall’infanzia. È ancora più di un percorso; è la comprensione che ne abbiamo assoluto bisogno, per respirare. Nonostante tutta la fatica nel disturbare e scardinare queste catene ci saranno sempre individui che parleranno di cambiamento stando comodamente allineati, arruolati a questo scopo in ogni momento della vita quotidiana, mascherandovi quanto c’è di sovversivo al di là della “siepe”, quanto c’è di positivo nel rifiuto di ogni coercizione, fosse anche morale, e in un inizio allo sguardo “altro”. Costoro hanno in bocca denti d’oro e i loro sorrisi ammalieranno come le sirene di Ulisse.
“Ormai sembra che lo scopo principale sia fare a gara a chi è -di più-, dimenticando che, in realtà, siamo tutt* nient’altro che una serie di -meno- che dovrebbero legarsi per il raggiungimento dell’obiettivo comune” (Saoirse)
Ogni sentiero costruito da questa società esclusiva è incompatibile e in contraddizione con il fine che noi stessi ricerchiamo: la liberazione, che non può essere tale se esisteranno sempre oppressi e oppresse. A prescindere dalla forma dei corpi. Le tradizoni, osservate sotto la lente anarchica, sono tra le discriminazioni peggiori. Basti pensare alla tradizione della donna sottomessa all’uomo nella storia, delle glorificazioni ecclesistiche, dello scherno e la violenza a danno di coloro che decidono di amare chi vogliono, della schiavitù dei neri, del lavoro minorile che per secoli è stato accettato come “natural-tradizionale”, del servilismo statale, della psichiatria, del matrimonio, dei “diritti e doveri” che dobbiamo avere in questa società alienante e spaventosamente capitalista.
Come tutte le tradizioni a base coercitiva, anche quella del considerare inferiore un altro animale è, evidentemente, discriminante. E le anarchiche e gli anarchici sono quelli che più di ogni altro hanno intravisto, nella storia, l’approccio al “dilemma” (cioè a quel quesito che spingeva a una riflessione approfondita della questione animale). La stessa Louise Michel, Tolstoj, Emma Goldman e, ancora più in profondità descrittiva e studiata, Kropotkin, parlarono o affrontarono la “Discriminazione animale”. Non certo come si fa oggi, bisogna sempre tenere presente il periodo storico (minato dalla miseria, la guerra, la mortalità infantile, etc).
L’antropologia kropotkiniana nasce dalla discussione critica del darwinismo e dei suoi successivi sviluppi, o meglio delle sue successive “falsificazioni”. Il grande anarchico russo si occupò del darwinismo in una serie di scritti per la rivista –The Ninteenth Century-, pubblicati nel 1902 e anche nel libro –Mutual Aid: a factor of evolution- (Il mutuo appoggio-un fattore dell’evoluzione; da poco ristampato per le edizioni Elèuthera) fino ad arrivare al suo più importante progetto letterario sugli animali e la natura: –L’Etica– (almeno nei primi capitoli). Il filosofo e rivoluzionario russo voleva una società libertaria senza più contrapposizione tra dominanti e dominati. Scrisse che una società, sviluppata in modo armonico, favorisce lo sviluppo dell’individualità, non lo inibisce. Si tratta però di un individualismo ben diverso da quello borghese, che è inevitabilmente egoistico, in quanto prodotto di una società e di una sensibilità verticistica. Ecco perchè amplificò la teoria del mutuo appoggio declinandola in: “Teoria del mutuo appoggio quale fattore dell’evoluzione“.
In sintesi: tutti gli animali, secondo Kropotkin, utilizzano il mutuo aiuto per sopravvivere, a differenza di Darwin, vide che le comunità animali solidarizzavano, creavano difesa, curavano gli ammalati, resistevano alla violenza degli uomini. Dove Darwin vide “Sopraffazione, Gerarchia e Istinti bestiali senza autodeterminazione e coscienza”, lui fù testimone della “Libertà individuale cosciente e per estensione alla moltitudine”. Una differenza immensa!. L’evoluzione diventava mutuo appoggio. A prescindere dalla specie. Senza mutuo appoggio non vi era evoluzione, senza solidarietà e rispetto non vi era crescita umana e animale. Un “gemellaggio” che dovrebbe far riflettere, vista la pubblicazione avvenuta più di un secolo fa.
Naturalmente l’argomento è ampissimo e, per ragioni di spazio, non posso approfondire uno dei massimi antropologi di sempre come Darwin che, ovviamente, non è solo la frase: “Sopraffazione e gerarchia” ma le differenze, comunque, tra i due naturalisti erano, incontrovertibilmente, inconciliabili. Appena qualche anno prima, delle intuizioni di Kropotkin, un altro pensatore libertario affrontava la questione animale; Lev Tolstoj scrisse pagine memorabili sul rispetto doveroso che bisognava dedicare ai nostri vicini oppressi:
“Dall’uccidere gli animali all’uccidere gli uomini il passo è piccolo, ecco perchè finché vi saranno macelli, vi saranno campi di battaglia. La compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo e io, come uomo, sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me”.
Tolstoj comprese che la violenza della guerra era un “atteggiamento” già esistente e, soprattutto, consolidato. Si spinse anche ad affermare che le guerre sarebbero continuate all’infinito, almeno fino a quando vi sarebbero stati lager per animali. Decenni dopo, nel 1959, un’altro filosofo libertario, Noam Chomsky, iniziò un percorso di studio (ancora oggi seguito da autori e autrici libertarie americane e non solo) dove venivano studiate le oppressioni non umane:
“La questione dei diritti animali è una questione molto seria. La domanda che dobbiamo porci è: fino a che punto abbiamo il diritto di torturare e uccidere gli animali? La risposta è: no non ne abbiamo nessun diritto.”
E ancora Bertrand Russel quando scrisse:
“In etica come in altri campi del pensiero umano ci sono due tipi di opinioni: da una parte quelle rette sulla tradizione, dall’altra quelle che hanno qualche probabilità di essere giuste”
Da Kropotkin a Élisée Reclus (il grande geografo e anarchico francese, a mio giudizio “inventore”, nel 1886, dell’antispecismo libertario moderno), da Chomsky a Bertrand Russel, ma soprattutto le donne: Louise Michel, Goldman, Lucy Parson, Dora Marsden, Virgilia D’Andrea, Cunard, Germaine Berton, Luce Fabbri, Maria Luisa Berneri e tante altre anarchiche odiavano le tradizioni. E non c’è da stupirsi, chi più delle donne potevano comprendere le tradizioni discriminatorie verso gli oppressi e le oppresse; loro che le vivevano da secoli. Se riteniamo che i termini (e quindi le azioni che li determinano) come la discriminazione, sopraffazione, ghettizzazione, segregazione, isolamento, prigionia, sono da combattere ed eliminare (ad ogni termine coercitivo è legato sia l’umano che l’animale altro) allora non possiamo non inserire nelle “parole da distruggere” anche i termini “mercificazione” e “annientamento” cioè quelle catene tradizionali che legano gli altri animali e che le vivono, totalmente, sulla propria pelle. L’annientamento e la mercificazione sistematica degli animali sono anch’esse prassi, tradizione, con l’aggravante di essere divenute, negli ultimi decenni, base imponente, colonna portante del capitalismo puro. Senza lo sfruttamento animale non potrebbe reggersi il capitalismo moderno e tutte le sue aberrazioni. Lo stesso Ford, il padre della catena di montaggio, lo scrisse chiaramente nel 1932:
“Per poter migliorare i tempi di produzione, l’aumento delle vetture in tutti gli States e la qualità del prodotto finale sono dovuto andare, necessariamente, a vedere come lavorano i dipendenti del mattatoio di Chicago; Fulgidi esempi di organizzazione e disciplina“.
Da una parte la catena di montaggio delle automobili (lo sfruttamento umano e alienante) dall’altra la catena di smontaggio degli animali divenuti oggetti “inanimati” o, nella migliore delle ipotesi, corpi-sacrificabili per ogni utilizzo: dal cibo al vestiario, dal lavoro alla costruzione delle società moderne. Non possiamo ormai più negarne l’esistenza oggettiva; non si tratta di scelta individuale soggettiva ma di lotta generale al dominio che, inesorabilmente, comprende umani e non umani. Continueremo a essere sfruttati e sfruttate, fino all’osso, dal potere, fino a quando saranno sfruttate e sfruttati, fino all’osso, gli altri da noi; gli animali.
Olmo Losca